La Svedese
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Libri Moderni

De_Cataldo, Giancarlo

La Svedese

Abstract: Roma non ha più un padrone, ognuno può prenderne un pezzo. Lei lo ha fatto. Era una ragazza di borgata come tante, con sogni nemmeno troppo grandi. Poi ha afferrato un'occasione, ed è diventata la Svedese. Sharon, detta Sharo, poco più di vent'anni, bionda, alta, magra, la faccia sempre imbronciata; non una bellezza classica, eppure attira gli uomini come il miele le mosche. Vive in periferia con la madre invalida e ha bruciato un bel po' di lavoretti precari sempre per la stessa ragione: le mani lunghe dei capi. Poi una misteriosa consegna portata a termine per conto del fidanzato, un piccolo balordo, cambia la sua esistenza. Con la protezione di un annoiato aristocratico, Sharo inizia la sua irresistibile ascesa criminale. Ma la mala che conta, quella che controlla il mercato della droga, si accorge di lei e comincia a tenerla d'occhio, a guardarla con rispetto, con timore, con odio. Lì, in quell'ambiente, nella zona oscura della città, nessuno la chiama più con il suo nome. Per tutti è la Svedese.


Titolo e contributi: La Svedese / Giancarlo De Cataldo

Pubblicazione: Torino : Einaudi, 2022

Descrizione fisica: 233 p. ; 22 cm

Serie: Einaudi stile libero. Big

ISBN: 9788806254254

Data:2022

Lingua: Italiano (lingua del testo, colonna sonora, ecc.)

Paese: Italia

Opera:

Nomi: (Autore)

Soggetti:

Classi: 853.914 NARRATIVA ITALIANA. 1945-1999 (0) 853.92 NARRATIVA ITALIANA. 2000- (0)

Dati generali (100)
  • Tipo di data: monografia edita in un solo anno
  • Data di pubblicazione: 2022
Testi (105)
  • Genere: fiction

Sono presenti 9 copie, di cui 2 in prestito.

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Roma, tempo di pandemia. Le disparità sociali tra i quartieri periferici, come quello delle Torri, e il centro della Capitale sono sempre più divaricate: il terreno perfetto per il rifiorire della malavita e delle lotte tra cosche intorno al mercato di nuove e vecchie droghe. In questo panorama, a una donna bionda, di una bellezza magnetica quasi androgina, riescono imprese più grandi dei suoi sogni, con la protezione e per l’amore traslato di un aristocratico che il destino mette sulla sua strada. È questa la storia di La svedese (Einaudi), nuovo romanzo (sempre criminale) dello scrittore – e dal 1 giugno scorso ex magistrato -, Giancarlo De Cataldo, che attraverso la fiction ci introduce alla realtà e ci porta nel profondo umano di un mondo che cade cercando la luce e sceglie il crimine in mancanza di altre vie per esistere. Lo stile è vivo, in presa diretta con un’emotività gergale che porta alle parole i brividi, il sudore e il fiatone di vite che camminano sull’orlo.

Si può considerare questo nuovo libro come un proseguimento ideale dei suoi successi Romanzo criminale e Suburra, divenuti anche film e serie tv?
Stavo lavorando alla serie di Manrico, il mio pubblico ministero melomane, quando a un certo punto mi sono imbattuto in una notizia sulle nuove droghe sintetiche e ho capito che dovevo farne qualcosa, anche per ritornare al periodo della pandemia. Stava infatti succedendo un fenomeno nuovo in termini di malavita romana, una sorta di evoluzione dai tempi di Romanzo criminale e Suburra, in effetti. A questo si è aggiunto l’elemento letterario di una storia d’amore anomala, per interposta persona, tra una borgatara e un principe del centro storico.

Come è arrivato il personaggio di questa ragazza bionda, “Sharo”, poi per tutti la “Svedese”?
L’ha ispirata da un incontro. Giravo nei cortili di Villa Valmarana, a Vicenza, quando tra i turisti ho visto una ragazza alta, bionda, filiforme, androgina, e ne sono stato colpito. Mi sono chiesto cosa ne sarebbe di lei se, anziché essere una ragazza di un contesto raffinato del Nord Europa, fosse stata una borgatara nata nel posto sbagliato e volesse cambiare la sua vita.

Visto il suo doppio sguardo su questa realtà malavitosa di autore e, a lungo, di magistrato: è la realtà a ispirare la letteratura, o può esserci anche il processo contrario?
Il tribunale mi ha dato la possibilità di guardare ai tipi umani. Lo stress del processo spreme l’essenza della persona, è uno sguardo questo che ritroviamo anche in Balzac, in Dostoevskij che era un appassionato spettatore di processi, in Tolstoj, che era stato addirittura giudice popolare. È certo, poi, che esistono influenze reciproche: la metafora letteraria, o della fiction in genere, influenza il comportamento di tutti e anche dei criminali.

E la letteratura può contribuire alla giustizia?
Non credo alla funzione etica della letteratura, piuttosto difendo la sua autonomia. Le narrazioni servono a creare miti e a raccontarli. Gli esseri umani non possono vivere senza miti.

I suoi personaggi sono molto vivi, e anche quando cattivi sembrano inseguiti dal suo affetto e di suscitarne. È così?
Io seguo la lezione dostoevskiana e metto una parte di me in tutti i personaggi. Li disegno a tutto tondo, anche quelli secondari. In più, appartengo alla generazione che ha visto negli anni ’60 un grande ascensore sociale che ha consentito passaggi di classe e avanzamento nell’istruzione per tutti. Ora questo ascensore si è tragicamente interrotto. Siamo stati tutti ingannati dal concetto di meritocrazia: ma non esiste meritocrazia senza opportunità offerte a tutti, e qui invece le opportunità si vanno restringendo pericolosamente. Allora, in determinati contesti la criminalità diventa l’unico fattore di ascensione economica e sociale. È doloroso dirlo, ma è così. Il mio affetto non è per i criminali quindi, ma cerco di mettere in luce quale sia la radice umana dietro l’atto criminoso, non pregiudico.

Era così anche da magistrato?
Ho sempre cercato di conoscere le persone che giudicavo e dovrebbe essere così.

Dalla banda della Magliana a oggi, come si è evoluta la malavita?
Nel periodo della Magliana c’era un’organizzazione che dominava, dopo si è tornati ad accordi tra famiglie di ‘ndragheta, camorra, mafie nostrane e di importazione. Quando c’è calma tra questi gruppi, resta un’apparente pace, quando un gruppo cerca di prendere il sopravvento, allora nascono le lotte, e si vedono perché ci sono i morti. Tra gli elementi avversi alla malavita c’è una vita civile armonica, mentre quando ci sono disagi sociali, come ora, la malavita aumenta. La criminalità offre un modello molto semplice: offre una speranza che lo Stato non dà.

Nel libro l’amore indiretto tra il principe e la Svedese crea allora un ponte tra livelli sociali.
Con questo strano amore volevo alludere al fatto che un’élite di periferia e un’élite del centro possano mettersi a un tavolo e trovare degli accordi. Ci guadagnano entrambi, anche la parte ricca, poiché dallo strato popolare può prendere vitalità.

Vitale lo è molto il suo linguaggio, come si forma?
Il mio maestro di romanesco – vengo da Taranto – è stato il mio macellaio, gli ho dedicato Romanzo criminale. E poi mio figlio, nome d’arte Gabriele Deca, che mi ha svecchiato un certo parlato: suoi sono i versi “trap” che aprono alcuni capitoli.

Finisce qui la storia della Svedese, quasi a happy ending, o proseguirà?
La storia finisce con due ragazzi che partono dalla Calabria con una missione. Vedremo…

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