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Persone normali
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Rooney, Sally

Persone normali

Torino : Einaudi, 2019

Abstract: Connell e Marianne frequentano la stessa scuola di Carricklea, un piccolo centro dell'Irlanda rurale appena fuori Sligo. A parte questo, non hanno niente in comune. Lei appartiene a una famiglia agiata e guasta che non le fa mancare nulla tranne i fondamenti dell'amore e del rispetto. Lui è il figlio di una donna pratica e premurosa che per mantenerlo fa la domestica in casa d'altri (quella della madre di Marianne). Nell'inventario di vantaggi e svantaggi, l'inferiorità economica di Connell è bilanciata sul piano sociale. Lui è il bel centravanti della squadra di calcio della scuola e fra i compagni è molto amato, mentre Marianne, che nella pausa pranzo legge da sola Proust davanti agli armadietti, è quella strana ed evitata da tutti. Se la loro fosse una battaglia, o anche solo una sequenza di scaramucce amorose, si potrebbe dire che le frecce al loro arco si equivalgono. Ma Connell e Marianne sono «come due pianticelle che condividono lo stesso pezzo di terra, crescendo l'una vicino all'altra, contorcendosi per farsi spazio, assumendo posizioni improbabili»: nella loro crescita, si appoggiano e si scavalcano, si fanno molto male ma anche molto bene, e la sofferenza che si procurano non è che boicottaggio di sé. Certo, la ferocia informa tutti i rapporti di potere che vigono fra i personaggi, nella piccola scuola di provincia come nel prestigioso Trinity College cui entrambi i ragazzi accedono, nelle dinamiche di genere come negli equilibri famigliari. Perfino in quelle dicotomie sommarie che tanto Connell quanto Marianne subiscono, e in cui essi stessi indulgono: quelle fra persone gentili e persone crudeli, fra brave persone e persone cattive, corrotte, sbagliate, fra persone strane e persone normali. In un modo o nell'altro entrambi aspirano alla normalità, Connell per un'innata benché riprovevole pulsione di conformità, Marianne forse per sfuggire a quella cruda e pervasiva sensibilità che tanto dolore le causa e che facilmente vira all'autodistruttività. C'è Jane Austen in queste pagine, la forza del suo dialogo, la violenza sotterranea delle sue relazioni, e l'omonimia di Marianne con l'eroina del suo romanzo piú celebre ne è un indizio. Per anni Marianne e Connell si ruotano intorno «come pattinatori di figura», rischiando la vita e salvandosela, chiedendosi, promettendosi, negandosi, dimostrandosi che quella che li lega è una storia d'amore.

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Davide Ricci
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Quando Sally Rooney, dublinese non ancora trentenne, l’anno scorso è entrata nella scena letteraria globale con il suo primo romanzo Conversations with Friends (Parlarne tra amici), l’entusiasmo degli addetti ai lavori, critici letterari e lettori raffinati in primis, è salito alle stelle, e la popolarità dell’opera è aumentata a velocità esponenziale. Quando, nel settembre dello scorso anno, ad uscire in madrepatria e in alcuni paesi anglofoni è stato il suo secondo romanzo Normal People, quasi tutti coloro che lo avevano letto in anteprima hanno scritto che si trattava di un capolavoro che avrebbe eclissato il primo. Le ragioni di questo sorpasso non sono chiare, perché Normal People, in arrivo a maggio grazie a Einaudi con il titolo di Persone normali, non possiede, a differenza del suo predecessore, la stessa sfolgorante brillantezza formale e quel fascino inspiegabile nella naturalezza che trasforma l’osservazione della particella minuscola in attività esaltante, la monotonia del dettaglio in esperienza irripetibile.

Sally Rooney ha dimostrato al primo colpo la più grande e insieme la più scontata delle qualità che dovrebbero fare degli scrittori dei giganti, quella cioè di non scrivere grandi storie, ma di farlo in modo da far sembrare tali gli scarti del quotidiano, il riverbero interiore dell’ordinario altrimenti trascurabile.

La voce di Frances, io narrante e protagonista di Parlarne tra amici, viene riprodotta nella sua singolarità estrema e non è singolare perché Frances sia un’individualità eccentrica, ma perché è quell’una di molti che l’autrice ha saputo restituire al lettore nel suo essere appunto una, nel suo avere una soggettività che non si fa perno identitario, ma cambiamento continuo di parole trovate e mancate, umori, percezioni, sentimenti, impressioni, convinzioni, finzioni, insicurezze, difese e rese, tutte queste cose mescolate e contraddittorie, ma anche fantasmagoriche e reali, banalissime e speciali. E a ciò si aggiunge che, nella sua banalità singolare, il personaggio di Frances rivela tratti che definiremmo millennial, nell’ostinazione, cioè, anche se le apparenze dicono un’altra cosa, a voler trovare uno spazio; in un certo modo molto responsabile di interiorizzare quello che non va, fuori e dentro di sé.

Normal People ha un tono più elegiaco, più cupo e già più maturo, nonostante la sostanziale contemporaneità delle ispirazioni, rispetto all’opera prima. Il quartetto composto da Frances e Bobbi, le due amiche ventenni legate da un sentimento di amore e dialettiche di dominanza che, in Parlarne tra amici, intrattengono relazioni con una coppia di trentenni sposati lascia qui il posto a una coppia di giovanissimi raccontati nel passaggio dalle scuole superiori ai primi anni universitari. Se Frances e Nick, in Parlarne tra amici, incarnavano le polarità in difetto di personalità — ma tutt’altro che desiderose di essere trasparenti — laddove Bobbi e Melissa quelle in eccesso (troppo brillanti, esuberanti, impositive), Connell e Marianne mostrano tanta permeabilità alla vita quanta profonda inadattabilità, e sfumano entrambi nella caratterizzazione verso una maggiore compenetrazione reciproca.

È vero che Connell è figlio senza padre (mai avuto) della working class e Marianne è la figlia senza padre (perduto, ma non è la cosa peggiore che le capita) della borghesia benestante, ed è altrettanto vero che il primo è popolare negli anni dei liceo, ma poi diventa insicuro quando lascia la provincia, mentre la seconda è derisa ed emarginata prima ed ammirata poi. Eppure questo rovesciamento speculare di sorti non è se non un aspetto superficiale, tutto esteriore, del romanzo. Qualcuno potrebbe far notare che Connell è il figlio della donna delle pulizie di Marianne, ma questo, più che evocare una dinamica interclassista, quasi suggerisce uno stucchevole pattern, che toglie, anziché aggiungere, merito al libro.

Come in Parlarne tra amici, anche in Normal People, irrompono esperienze dolorose della mente (la depressione) e del corpo (là l’endometriosi, qui l’abuso e la violenza sadica e masochistica), e il corpo — ora esultante, ora sofferente — è protagonista, pur in misura minore, anche dell’opera seconda della Rooney. Ma, ancora una volta, non sono la salute mentale o il contributo del corpo alla definizione identitaria il centro del romanzo. Il centro del romanzo, questo ultimo come quello che lo precede, è un’idea molto semplice, quasi sbalorditivamente semplice, forse la più semplice possibile, vale a dire il potere che gli altri hanno e vogliamo che abbiano su di noi, l’essenzialità estrema, quasi brutale, del nostro bisogno di relazioni e il nostro tormento nel non averne di significative, l’animalità più o meno sublimata della nostra ricerca di un’interazione fondante, quella in grado di svoltare un’esistenza. Finalmente c’è una scrittrice nel mondo che dice: il nostro bisogno d’indipendenza è un mito e una bugia o, se non è un mito o una bugia, è un istinto secondario, perché è l’incontro con l’altro a determinare il senso di un’esistenza e lì convergono anche i nostri desideri più riposti. Abbiamo tutti, in questo segmento storico-politico (si perdoni il cliché idiomatico), più bisogno di essere ‘dipendenti’ che indipendenti da qualcuno, di riuscire a stare con qualcuno che riuscire a staccarci, a liberarci da qualcuno. Normal People indaga questa fatica, anche se una lettura può superficiale potrebbe indicarci la strada del with or without you: non è così, perché Connell e Marianne fanno solo fatica a stare insieme e no a non stare insieme.

Certe dinamiche incendiarie di amori faticosi perché fondati principalmente sull’attrazione erotica che non trova collocazione nelle angustie della quotidianità sono anacronismi da romanzo storico. Il romanzo contemporaneo, di cui la Rooney è senz’altro l’it girl, segue una traccia diversa e molto sottile, ancora quasi inafferrabile criticamente, quella di esplorare la formidabile e inquietante asincronia tra un bisogno sempre più verticale di relazione con l’altro e la nostra inspiegabile inabilità a relazionarci, la nostra resistenza a scoprirci dipendenti, a scoprirci invischiati nel desiderio dell’altro, un altro singolare e irripetibile. Quando, nelle ultimissime pagine, Marianne scopre che Connell vorrebbe fare un’esperienza importante che, però, non la include, gli dice qualcosa come: essere impazienti non ha più senso ormai. Per chi tanto a lungo si è cercato, sempre avvicinandosi e schivandosi e, poi, di nuovo da capo in un gioco inconsapevolmente sofisticato di studiati evitamenti, il tempo non ha più molta importanza: importante è solo sapere, finalmente, definitivamente, che amare, come vivere, a volte è anche non cercare più, restare fermi dove l’altro, il ‘significativo’ Altro, tornerà. Arrivare a quella certezza è, però, un’utopia da romanzo, una possibilità che diviene realtà solo nell’isolamento coatto del laboratorio narrativo e della sua finzione senza rimedio.

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