Abstract: È l'estate del 1991, Daniele ha diciassette anni e questa è la sua prima vacanza da solo con gli amici. Due settimane lontano da casa, da vivere al massimo tra spiagge, discoteche, alcol e ragazze. Ma c'è qualcosa con cui non ha fatto i conti: se stesso. È sufficiente un piccolo inconveniente nella notte di Ferragosto perché Daniele decida di abbandonare il gruppo e continuare il viaggio a piedi, da solo, dalla Riviera Romagnola in direzione Roma. Libero dalle distrazioni e dalle recite sociali, offrendosi senza difese alla bellezza della natura, che lo riempie di gioia e tormento al tempo stesso, forse riuscirà a comprendere la ragione dell'inquietudine che da sempre lo punge e lo sollecita. In compagnia di una valigia pesante come un blocco di marmo, Daniele si mette in cammino, costretto a vincere la propria timidezza per chiedere aiuto alle persone che incontra lungo il tragitto: qualcosa da mangiare, un posto in cui trascorrere la notte. Troverà chi è logorato dalla solitudine ma ancora capace di slanci, chi si affaccia su un abisso di follia, sconfitti dalla vita, prepotenti inguaribili. E incontrerà l'amore, negli occhi azzurri di Emma. Ma soprattutto Daniele incontrerà se stesso, in un fitto dialogo silenzioso in cui interpreta e interroga senza sosta ciò che gli accade, con l'urgenza di divorare il mondo che si ha a diciassette anni, di comprendere ogni cosa e, su tutto, noi stessi: misurare le nostre forze, sapere di cosa siamo fatti, cosa può entusiasmarci e cosa spegnerci per sempre. Questo viaggio lo battezzerà infine all'arte più grande di tutte. L'arte dell'incontro. Daniele Mencarelli ha scritto un romanzo vitale, picaresco e intimo, che ha dentro il sole di un'estate in cammino lungo l'Italia e l'energia impaziente dell'adolescenza.
Titolo e contributi: Sempre tornare : romanzo / Daniele Mencarelli
Pubblicazione: Milano : Mondadori, 2021
Descrizione fisica: 323 p. ; 23 cm
Serie: Scrittori italiani e stranieri
EAN: 9788804741848
Data:2021
Lingua: Italiano (lingua del testo, colonna sonora, ecc.)
Paese: Italia
Sono presenti 6 copie, di cui 2 in prestito.
Biblioteca | Collocazione | Inventario | Stato | Prestabilità | Rientra |
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Santa Maria a Monte | 853.92 MEN sem | 0100-20950 | In prestito | 09/12/2023 | |
Cascina | 853.92 MEN | 0020-31660 | Su scaffale | Disponibile | |
Vicopisano | 853 MEN 1 | 0030-28642 | In prestito | 20/12/2023 | |
Peccioli, Fonte Mazzola | 853.92 MEN | 0210-9116 | Su scaffale | Disponibile | |
Volterra | 853.914 MEN | 0150-20185 | Deteriorato | Non disponibile | |
Pontedera, ITCG Fermi Renato Marzini | 853 MEN SEM | 2020-14628 | Su scaffale | Disponibile |
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(da un'intervista rilasciata a MSN.com)
Siamo noi i veri carnefici di noi stessi. Alcuni in modo furioso, inesorabile», dice Daniele Mencarelli, 47 anni, poeta e scrittore romano, pensando anche a sé stesso, al suo percorso di sofferenza e redenzione che ha raccontato nei primi due libri della trilogia autobiografica: La casa degli sguardi, ambientato all’ospedale pediatrico del Bambin Gesù di Roma (storia di come immergersi nel dolore degli altri lo abbia strappato all’alcolismo), e Tutto chiede salvezza, racconto della settimana trascorsa in un reparto di psichiatria dopo un Tso, trattamento sanitario obbligatorio, romanzo vincitore dello Strega Giovani 2020. Cadere e poi rialzarsi, perdersi e poi ritrovarsi: la vita (e le opere) di Mencarelli si muovono in questo breve spazio fra il tutto e il niente, il paradiso e l’inferno, il bene e il male. E se è vero che «siamo noi i veri carnefici di noi stessi», è allora solo incontrando gli altri che la dannazione può lasciare posto alla speranza. «La mia vita», dice lo scrittore, «in almeno un paio di circostanze, è stata salvata, intendo materialmente, da sconosciuti». Protagonista del nuovo romanzo Sempre tornare, che completa la trilogia autobiografica, è Daniele — l’autore quando era 17enne — in viaggio in autostop da Misano Adriatico a Roma, nell’Italia degli Anni Novanta. Il regista Paolo Genovese ha annunciato che ne farà un film, «leggendo il libro ho visto la storia, fotogramma dopo fotogramma», mentre un altro regista/sceneggiatore, Francesco Bruni, ha già cominciato le riprese di Tutto chiede salvezza, che diventerà una serie Netflix di 7 puntate. «È successo come quando passa un Frecciarossa», dice Mencarelli dell’uno-due televisivo-cinematografico, «ho ancora nelle orecchie lo spostamento d’aria... Forse oggi c’è la voglia di tornare a racconti in cui esiste sì il male, ma c’è un bene pronto a fronteggiarlo. Il male non è una condizione di normalità».
In Sempre tornare quando Daniele parte, «ancora non conosce i mille profili che un viaggio può assumere», racconta lo scrittore. «Pensa che tutto può e deve essere sotto il suo controllo. È lui a stabilire cosa chiedere, quanto chiedere. Ma un imprevisto, e l’imprevisto è una delle voci con cui il viaggio si esprime, gli farà capire che le forze che ruotano attorno al mondo sono molto più grandi delle sue false illusioni». Daniele è timido, il viaggio lo obbligherà a sfidare la sua «vergogna di chiedere»: un letto per la notte, i soldi per il pranzo. Come premio, gli offrirà la scoperta più bella di tutte: incontri umani profondi, «amicizia che sa diventare in tanti casi fratellanza. Daniele verrà battezzato all’arte dell’incontro. E nel ricevere dagli altri imparerà a donare. Ma più di tutto, imparerà che certe caratteristiche della nostra identità, che diamo per invincibili, in realtà si possono affrontare. Come la timidezza, appunto», racconta Mencarelli (e più avanti, parlando di sé dirà: «L’inadeguatezza mi perseguita», suggerendo che forse anche questa persecuzione che da sempre lo tiene in scacco potrà essere prima o poi affrontata. E vinta).
La capacità di cogliere il dolore è una delle cifre della sua scrittura. Da dove viene questo sguardo che sa attraversare cose e persone, rivelandole persino a sé stesse? «Voglio bene alle vite che racconto. E chi vuole bene guarda stando a guardia, veglia, sorveglia. La mia scrittura nasce da questa tensione che mi sono ritrovato negli occhi, senza chiederla. Accanto allo sguardo è nata la parola. Ho sempre trovato naturale indagare gli altri, perché sono una sorgente infinita di cose da scoprire, e perché ogni giorno mi restituiscono una rivelazione, che ognuno di noi dimentica e ritrova continuamente: io appartengo all’umanità. Quello che fa soffrire me, che mi innamora, diverte, terrorizza, ha lo stesso effetto anche sugli altri. La compassione è il sentimento supremo. Ci fa vivere dentro tanti corpi che non sono il nostro. E, personalmente, mi fa interrogare su una delle forze che più mi attrae e turba insieme: il destino. La sua azione. Il suo accanirsi su alcuni mi ha sempre sconvolto, non riesco a non chiedermi, di fronte a tante vicende, sciagure, perché quella persona e non io».
Daniele nel suo viaggio incontra bravi cristi che all’apparenza sembrano orchi, incontra persone deboli, totalmente perse dentro le proprie paure, incontra l’arroganza, la mitezza, la violenza, l’amore. Tutti incontri reali? Il romanzo è biografico anche in questo? «Trovo negli altri una miriade di sfumature, vicende, aneddoti, che restano incastrati nei miei occhi, che mi rivelano tutto ciò che di umano e universale esiste al mondo. Spesso dentro una vicenda uno scrittore ne mette mille, compone costruendo identità sulla base di più elementi, più incontri, più persone. Naturalmente, anche la fantasia, la bravura nel sintetizzare tutto dentro un unico corpo narrativo, anche questo fa parte della capacità di uno scrittore. Ma la realtà suggerisce, ammicca, svela scene come in un teatro grande quanto il cosmo. È piena di simboli, enigmi, almeno per me. Ho voluto mettere su carta quelle figure che, nel corso di questi ultimi trent’anni, mi hanno insegnato qualcosa e continuano a farlo. Come se fossero diventati i miei paradigmi umani, nel bene quanto nel male. In fondo, tutta la trilogia biografica offre proprio questo: gli incontri che hanno educato il mio sguardo. Che mi hanno fatto diventare l’uomo che sono».
Il tema del viaggio è intrecciato a quello del rischio: Daniele si prende davvero tanti rischi salendo su auto di sconosciuti, cenando e dormendo in letti di fortuna dentro le loro case. Sappiamo ancora rischiare? «L’uomo contemporaneo si è chiuso nella sua piccola conchiglia raccontandosi di non vivere più i pericoli di un tempo. A questa illusione ha risposto il Covid, ricordandoci che la nostra tranquillità apparentemente inviolabile è una bella favola. Il problema è che con questa smania iperprotettiva abbiamo finito per disprezzare tutto ciò che non conosciamo. Ciò che non si conosce, oggi, è vissuto al pari di un rischio da evitare. Dobbiamo recuperare la dimensione dinamica dell’esistenza, e in questo costante dinamismo essere consapevoli che tutto, tutto, a partire dalla nostra identità, è lì per essere modellato dagli eventi. Sto parlando dei grandi temi che appartengono al viaggio. Oggi, invece, idolatriamo la staticità, la confondiamo con il controllo».
La parola “salvezza” ritorna, tutto il suo lavoro sembra ruotare attorno a questa tensione: dramma e salvezza. Com’è cambiato nel tempo, per lei, il significato di questa parola? «Salvare ciò che si ama lo trovo naturale al pari del respiro. Ma tutti sentono premere nel proprio io questa impotenza terribile. Amo, ma l’oggetto del mio amore non posso proteggerlo in alcun modo. Ciò che amo non è mio. Oltre alla riflessione riguardo il possesso, spesso terribilmente confuso con l’amore, questa evidenza mi ha sempre spinto a cercare qualcosa che mi potesse avvicinare alla salvezza. In questo senso, la mia ricerca assume senz’altro un’impronta spirituale. Oggi, da 47enne, continuo a vivere questa tensione, questo presentimento, una salvezza può essere possibile. Anche se come un’anima in pena continuo a inseguirla senza mai trovarla veramente. Non solo dai mali del mondo, ma anche dal mondo stesso. Sono “un aspirante credente”. Giorgio Caproni, nella poesia Lamento (o boria) del preticello deriso, mette in scena un prete corrotto e mondano, laido. Poi scoppia la guerra, una sua amante gli piange addosso disperata e lui scopre per la prima volta la compassione. La poesia finisce in modo geniale, mi riassume come io non potrei fare in miliardi di parole: prego non so ben dire/chi e per cosa; ma prego… non come accomoda dire/al mondo, perché Dio esiste:/ma, come uso soffrire/io, perché Dio esista. Non posso negarmi il dubbio, e la speranza, di una salvezza».
Daniele vince le proprie paure buttandosi nel mondo, affidandosi al mondo. È quella la strada? La sua strada?
«Sì, la mia strada è buttarmi nel mondo. Conosco quel confine sottile che fa del proprio focolare domestico da luogo di riparo e protezione un carcere con sbarre invisibili da cui è impossibile evadere. Che sia per dipendenza da droghe, alcol, o per problemi psicologici, la casa gioca nella nostra vita questo doppio ruolo. Custodisce quando vissuta nella giusta misura. Annienta quando pretende di diventare essa stessa il nostro mondo. Questa è la sfida di tutta la mia vita. Ancora oggi. Gettarsi nel mondo, non farsi prendere dalla paura. La paura mi attacca di continuo. Il mio vero nemico è lei. Lungo la strada ho incontrato tante vite, esperienze. Tanti disperati disposti a fare del male. Ma nulla al confronto della paura interiore. È lei che ci soffia nelle orecchie che la casa è l’unico luogo giusto per noi. Ribellarsi alla paura. Vivere il mondo. Scoprire che gli altri il più delle volte sono come noi, divorati dalle proprie paure, ma pronti a offrirsi. Il vero nemico ce lo portiamo in corpo».
Chiusa la trilogia, che fase si apre?
«Quando ho deciso di dedicarmi alla narrativa, dopo oltre vent’anni di poesia, avevo in mente questo percorso biografico. Ora voglio lavorare su altre due storie d’invenzione, ma non meno legate ad alcune realtà che ho avuto modo di vivere e vedere da vicino. Credo che la letteratura debba recuperare il ruolo di testimone del proprio presente. In fondo, uno scrittore coglie i temi del sempre e li articola nella sua epoca, e nella sua lingua. In questi ultimi vent’anni ho conosciuto molte persone che mi hanno chiesto di scrivere di loro, senza mai chiedermelo. È per quello che dicevo all’inizio, vivo stando a guardia di ciò che vedo e incontro».
La formazione poetica quanto ha condizionato il suo linguaggio? «La letteratura è il saper ricostruire un mondo attraverso la lingua, la parola, e il rispetto che i poeti hanno della parola arriva molto spesso all’ossessione. Come narratore non mi affido alle descrizioni fiume, non ho quel passo, cerco sempre il tic, il momento che rivela il personaggio o la situazione. Credo che tutta la scrittura sia debitrice del teatro. Della scena che si compie. E in una scena prevale sempre una parte per il tutto. La vera scommessa è individuare la parte che sappia restituire il tutto».
Che cosa si aspetta dal nuovo libro?
«Che continui lo straordinario dialogo che ho cominciato con tanti lettori. Da sempre, in questo periodo in modo molto vivace, si fa un gran discutere di cosa la letteratura debba o non debba essere. Sull’impegno. A questa discussione farei partecipare anche i lettori. La letteratura è gesto di relazione. Oppure non è nulla».
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