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Milano : Guanda, 2023
Abstract: «Non possiedo nulla di stabile, non sono radicato nel tempo o nello spazio e non conosco confini tra il sì e il no, tra il giorno e la notte, tra il sempre e il mai… Sotto diversi aspetti, i saggi su artisti, scrittori e grandi pensatori raccolti in questo volume potrebbero non avere nulla a che vedere con chi sono io, o con chi erano loro: magari ne ho dato una lettura totalmente sbagliata. Ma se li traviso, è per poter leggere meglio me stesso.» André Aciman esplora il concetto di tempo superando il semplice piano del presente, del passato e del futuro per dedicarsi a orizzonti frastagliati, a ciò che sarebbe potuto accadere ma che non è accaduto, eppure condiziona la nostra realtà in modo concreto. Lo fa offrendo al lettore ritratti di artisti, scrittori, registi che ha amato e che hanno influenzato la sua vita e la sua scrittura – da Sigmund Freud a Constantinos Kavafis, da Marcel Proust a Fernando Pessoa – ma anche istantanee di città come Alessandria d'Egitto, San Pietroburgo e Roma. Una intelligente e profonda riflessione su cosa è reale e cosa non lo è, sul potere della memoria e dell'immaginazione, su come sia possibile creare una fortezza in cui preservare i ricordi dallo scorrere del tempo.
30 maggio 2023 alle 14:22
André Aciman è uno studioso di Marcel Proust, e si sente. E, con una formazione tale, non può che metterci in guardia sin da subito: questi saggi plasmano e sono plasmati sotto la lente degli irrealis moods. Sono quei tempi verbali che descrivono qualcosa che non è accaduto ma di cui si desidera l’accadimento, anche se non c’è alcuna possibilità di sapere se avverranno davvero. In italiano li rendiamo con il congiuntivo e il condizionale. Infatti, il titolo originale dell’opera è proprio Homo Irrealis. E quello che Aciman mette in atto è un po’ un incrocio fra la rappresentazione del Bacio di Swann e questi modi verbali: attraverso le storie delle personalità toccate dall’arte, cerca di costruire quello che, nella sospensione del desiderio, della vulnerabilità – quello che vorremmo e che non siamo, che desideriamo fermare e non possiamo – attecchisce e si fa racconto del vivere.
È un viaggio all’insegna dello smembramento del tempo, della messa in discussione delle nostalgie che si provano e forse non sono tali, di quello che pensiamo ci descriva, ci avvolga e poi invece è la storia che ci siamo voluti raccontare per essere fuori da un presente, non importa quale, quello che c’è, effettivo e reale, che tutto crea e che tutto confà nell’insofferenza.
Sì, perché queste pagine – che non si possono descrivere, ma da cui bisogna farsi attraversare – ci presentano un conto molto veritiero e lampante: non viviamo mai il momento. Per quanto ci raccontiamo di essere nell’hic et nunc, in realtà non ci siamo mai. Siamo sempre in un irrealis mood, nella fierezza sconfitta del nostro essere uomini irreali, sempre vibranti in un’essenza che non rispecchia quello che viviamo adesso.
Esisto e desidero. E nel momento esatto in cui desidero ho paura di quel desiderio e traspongo la mia essenza altrove. Nel passato, nel futuro, un posto-tempo sicuro in cui rifugiarsi, in cui la realtà e concretezza del mio stare non prendano una forma definitiva.
Davvero questo libro dice questo? Dice questo a me. Sì, perché la forma più portentosa del Bacio di Swann è che parla diversamente a chiunque legga. Ognuno trova le sue forme o scappa via, come nel mio caso, davanti a quest’irrequietezza seminata. Allora, i personaggi che si incontrano, che siano Freud, Monet, Kavafis, Hopper, l’illuminante e prezioso Pessoa, non sono che pezzi di un puzzle – cose che avremmo voluto capire e forse sapevamo, ma da cui scappiamo, in preda alla nostra ineluttabile nostalgia.
Ché forse siamo questo: frutti acerbi di cose che avremmo voluto vivere, la convinzione che esse ci avrebbero cambiate, resi diversi. Questo siamo, sì, la certezza mancata di quello che avremmo potuto essere con altre scelte, con le nostalgiche convinzioni in cui ci culliamo – quello che non è e mai sarà. Eccoci, figli di quello che non capita e che – convinti – crediamo avrebbe cambiato tutto. Viviamo lì dentro: nei tempi sospesi, nelle certezze irreali, nei baci di Swann.
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